Italia, Epoca fascista, 1922-1942, MONILE ARTIGIANALE, Pendente contenente medaglia girevole, Senza data, D/ RENZO MENEGAZZI e caratteri africani, riflessi, al centro due fasci littori accanto a una bilancia, Metallo: MB, gr. 110,70, (MY155868), SPL, (R)
Renzo Meregazzi fu un alto funzionario del Ministero dell’Africa Italiana (MAI): fu citato da Angelo Del Boca insieme a Angelo Piccioli e Arturo Ferrara fra i più alti burocrati del Ministero in Gli italiani in Africa orientale, sottoposto a giudizio di epurazione (poi prosciolto) per essere stato considerato “il tipico esempio di carriera fascista” poiché promosso direttamente ai primi gradi della carriera direttiva da Mussolini stesso”.
Renzo Meregazzi, fu autore del testo di una commedia che si intitolava “L’ora del ciai”, andata in scena il 3 marzo 1928 al Teatro di Mogadiscio alla presenza del principe ereditario Umberto di Savoia, del duca degli Abruzzi Luigi di Savoia e di Piero Bolzon, sottosegretario di Stato alle Colonie in rappresentanza del governo nazionale. Fu anche autore di alcuni saggi sul colonialismo, uno dei quali pubblicato nel 1939 negli Annali dell’Africa Italiana dal titolo “Lineamenti della legislazione per l’Impero”, dove inneggia alla politica razzista di Regime. Pubblicò negli «Annali dell’Africa Italiana», anno II, settembre 1939, vol. III il saggio Lineamenti della legislazione per l’Impero che contiene il capitolo “La politica di razza” (pp. 68- 83) da cui sono tratte le citazioni che seguono:
“Corollario e coronamento ad un tempo della politica indigena del Fascismo è la tutela della purezza della razza dominatrice.[…] La politica coloniale italiana si rivelò istintivamente razzista fin da quando l’Italia prese piede sulle sponde del Mar Rosso e dell’Oceano Indiano. La teoria dell’assimilazione venne da noi respinta come falsa e pericolosa. Noi pensiamo che nelle nazioni in cui esiste la coscienza di razza […] la colonizzazione non può avere altro risultato che un pericoloso decadimento dei valori etici. Questa coscienza […] è altresì il lievito morale che dà il diritto ad una Nazione civile di colonizzare regioni meno evolute, di fornire ad esse mezzi di vita più progrediti […]. Dissentiamo profondamente dai teorici (che) […] invocano una soluzione giuridica per il problema del meticciato ed un legale riconoscimento del fenomeno anormale del concubinaggio con le indigene. (69) […]. Tutti concordano nel giudicare il meticciato una dolorosa piaga, una sorgente di infelici e di spostati. Di qui una condizione di disarmonia morale che, aggiungendosi alle disarmonie fisiche e elle eredità patologiche, fa generalmente degli ibridi delle terre di conquista una categoria sociale invisa a dominati e dominatori, causa di irrequietudine, di debolezza e di disordini per la compagine coloniale. […] La razza non si risolve nel solo fatto biologico […] dai dati antropologici, dagli indici craniali, dalla statura, dal colore dei pigmenti e degli occhi, ma principalmente dalle attitudini umane, che sono insieme un diretto prodotto degli attributi somatici, funzionali e spirituali dell’individuo e del popolo cui esso appartiene. Ed è appunto in queste attitudini che la individualità italiana balza evidente sullo sfondo della storia nel confronto di tutti gli altri popoli […]. Già nella legge organica per l’A.O.I. nessuna norma tutela la cittadinanza di una donna italiana o comunque di razza bianca maritata ad un suddito; anzi una precisa disposizione afferma che la donna coniugata con un suddito diventa, in seguito alle nozze, suddita a tutti gli effetti, volendo il legislatore segnare la degradazione di razza e di civiltà di chi dimenticasse ogni dignità nazionale e personale”.
Tutto ciò dimostra che l’Italia non si scoprì razzista all’improvviso e che il regime non lo fu all’“acqua di rose” rispetto a quello tedesco.
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